LA SIGNORIA DI BARILE - Architetture della Media Valle Aterno  

di Massimiliano Andreassi

 

Il territorio della valle dell’Aterno prima del 1180. Nascita della Signoria di Barile

La Signoria di Barile e la fondazione della città dell’Aquila

La Signoria di Barile tra il XIV e il XVI secolo.

Lo sviluppo economico dell’Aquila e l’infeudamento del Contado.

L’abolizione della feudalità e la nascita dei Comuni

Chiese di: Tussillo e Villa Sant'Angelo      

 

Il territorio della valle dell‘Aterno prima del 1180

Nascita della Signoria di Barile 

 

La valle dell’Aterno prima dell’età classica era popolata dai Sabini, il cui nome deriva, secondo Catone,” da Sabino figlio di Sanco genio di questa regione” (1), e dai Vestini. Per opera di queste popolazioni sorsero a poco a poco degli insediamenti talmente popolati da potersi dire città; una di queste fu certamente Amiternum che Virgilio riporta nel VII libro dell’Eneide. Nelle guerre Sannitiche (343-294 a.C.) fu distrutta da Spurio Corvillo; ricostruita diede i natali a Sallustio Crispo primo grande storico della letteratura romana (84-34 a.C.); ai tempi dell’imperatore Augusto divenne parte della provincia Valeria. Sede vescovile fino al VII secolo decadde definitivamente nel medioevo (“gia nel medioevo non esisteva più”) (2) e sopra le sue rovine sorge ora S.Vittorino. Poco lontano da Amiternum era Foruli. Fiorente ai tempi dell’imperatore Traiano (98 d.c.) venne poi decadendo mutando nome in Civitate sotto il dominio dei Normanni. Diventa feudo di un Tomaso e prese il nome di Civita Tomassa. A dieci miglia da Amiternum era Forcona oggi Civita di Bagno. Anche questa città fu sede di diocesi, fino al 1257 anno in cui papa Alessandro IV la trasferisce a L’Aquila. Vicino Forcona giacciono le rovine di Aveia, oggi Fossa, famosa citta dei Vestini. Tutti questi centri subirono dal V al X secolo continue invasioni barbariche rese agevoli dalla mancanza nel territorio di insediamenti consistenti. Particolarmente sofferta fu l’occupazione longobarda in quanto la provincia Valeria, che includeva quasi tutta la attuale provincia dell’Aquila, era stata incorporata nel ducato di Spoleto mentre il resto dell’Abruzzo in quello di Benevento (3). Questa divisione politica portò gravi scompensi dal punto di vista economico in quanto la transumanza delle greggi, unica attività fiorente da cui dipendevano numerosi centri abitati, legava strettamente l’Abruzzo e il Tavoliere delle Puglie e, non potendo questa attività svolgersi in sicurezza, regredisce considerevolmente. Diretta conseguenza di ciò è la scomparsa di città che vivevano di pastorizia come Amiternum, Aveia, Pitinum (4). La situazione cambia con i Normanni quando nel 1008 l’Abruzzo viene riunito al resto del Meridione. La ripresa della transumanza ridà forza all’economia della vallata amiternina dove comincia a prender corpo il fenomeno dell’incastellamento. In questo contesto storico-politico nasce intorno al 1180 la Signoria di Barile che comprendeva le terre dell’attuale comune di Villa S. Angelo e Tussillo, sua frazione, di Casentino (attuale frazione del comune si S.Eusanio Forconese) e di Fontavignone (attuale frazione del comune di Rocca di Mezzo). Questa influente e nobile famiglia discende dalla più famosa dinastia dei Conti dei Marsi sorta, con Berengario e Adalberto conti, nel 850 anno in cui la Marsica diventa feudo maggiore e si libera dalla dipendenza del Ducato di Spoleto (5). Acquista questa casa notevole prestigio nell’anno 910 quando Linduno nipote di Carlo Magno sposa Doda contessa dei Marsi (6) dai quali nasce Bernardo detto Francesco cioè Francese, capostipite delle dinastie di Pietra Abbondante, Valva, Sangro, Collimento, Palla d’Oro, Ocre e Barile (7). Nel 1180 Tomaso Signore di Barile, nipote di Odorisio Signore di Collimento, secondo la legge longobarda in uso, si cognomina, con i suoi discendenti, con il nome della terra posseduta. Nasce cosi il casato dei Barile. Nello stesso anno, ed è questo il primo atto documentato, Tomaso huomo assai pio e religioso dona alla Religione Gerosolimitana la chiesa di S.Nicola vicino al Castello di Rocca di Mezzo con tutte le rendite, territori, vassalli a possedimenti a detta chiesa spettanti (8). Nel 1185 il Castello di Barile era feudo di un soldato a cavallo, vale a dire popolato da 24 famiglie (9).  

N 0 T E

1 - M. Oddo Bonafede, 1981, p.5

2 - A. Clementi e E. Piroddi, 1986, p.8

3 - A. Clementi e E. Piroddi, 1986, pp.3-23

4 - A. Clementi e E. Piroddi, 1986, pp.3-23

5 - A Clementi e E. Piroddi, 1986, pp.3-23

6 - O. Beltrano, 1671, pp.241-253

7 - T. Brogi, 1979, pp.110-120

8 - O. Beltrano, 1671, pp.241-253

9 - A. L. Antinori ms, vol. XXVIII  

 

La Signoria di Barile e la fondazione della città dell’Aquila

Riguardo la fondazione della città è d’obbligo menzionare due diverse teorie, quella di Carlo Franchi illuminista e quella di Buccio da Ranallo e Bernardino Cirillo storici. Il Franchi la attribuisce all’imperatore Federico II di Svevia che nel 1245, con il Diploma da lui spedito e della cui autenticità basta leggerlo per rimanere chicchessia bastatamente convinto (1), esprime la volontà di piantare una nuova città a sé fedele ai confini del regno per difenderlo dai continui assalti delle popolazioni nemiche. L’Imperatore deliberò pertanto che nel luogo chiamato Aquila tra Forcona e Amiterno, i castelli adiacenti formassero una nuova città a cui per l’antico nome in cui fondasi, a per i fausti auspizi delle sue vittoriose Imperiali insegne, si dasse il nome di Aquila (2). Contrariamente a quanto asserisce il Franchi, il “cronista” Buccio da Ranallo nella sua “Cronaca Aquilana rimata” (sec.XIV) e lo storico del cinquecento Bernardino Cirillo sostengono che la fondazione dell'Aquila avvenne nel 1254 sotto il regno di Corrado IV successore di Federico II. Comunque sia il primo documento che testimonia l’esistenza della nuova città è la bolla di papa Alessandro IV con la quale trasferisce nel 1257 la sede vescovile di Forcona a L’Aquila, innalzando a cattedrale la chiesa dei SS. Massimo e Giorgio alla piazza del Mercato (3). La nuova città era in stretto legame con il suo contado a cui appartenevano i Castelli e le Terre della valle da Urno Putrido, vicino all’attuale S.Benedetto in Perillis, a Amiternum cioè i territori delle due antiche diocesi di Amiterno e Forcona. A ciascuno dei Castelli, Terre e Villaggi compresi tra i confini detti fu assegnato all’interno della città il proprio ”locale” in cui i nuovi abitanti potevano edificare una propria piazza e una propria chiesa. La città fu divisa in quattro quartieri: S.Maria, S.Giorgio, S.Pietro e S.Giovanni comunicanti con 12 strade con la piazza del Mercato. Secondo il Registro dei Quartieri che l’Antinori fa risalire al 1414, il quartiere di S. Maria comprendeva le seguenti terre:

Paganica, Collebrinconium, Intempera, Ginianum, Guastum, Gencha, Santus Petrus, Camarda, Filectum, Villa S.Baslis, Santa Maria Afforfona, Asserice, Peschio Maiure, Barisiano de sotto, Barisiano de sopra, Stefanisci, Sancto Demetro, Leporanicha, Bommonacho, Caporcianum, Civita Retenga, Navelli Colle Petri;

del quartiere S. Giorgio, a cui appartenevano le ville di Barile a di Villa S. Angelo, erano:

Baczanum, Balneum, La Torre, Unda, Fossa, Ocre, Sancto Sano, Campana, Fagnano, Fontecchia, Lu tione, Goranium, Beffi, Rocha de petruro, Rocha de Medio, Rocha de Cambio, Stiffia;

il quartiere di S. Pietro comprendeva:

Sancto Vectorino, Popletum, Forcella, Lavaretum, Arischia, Piczolum, Cangnianum, Cascina, Pretorum, Porcinaro, Rocha Veranum, Pile, Sancta Antia;

infine, al quartiere S. Giovanni appartenevano:

Rodium, Saxa, Podium Sancta Maria, Luculum, Tornaparte, Rocha Santi Stefani, Scupletum, Civita Thomassi, Villanum, Rasinum, Rocha de Corno, Corno, Acquila, Rocha Santi Silvestri, Piscignola, Machilcnum, Leposta, Sancta Ongnina, Introdacum, Burbona, (4).

Però l’edificazione della nuova città procedette con molta lentezza. A testimoniare ciò il Franchi cita un documento del Cardinale del Titolo di S. Giorgio al Vello d’Oro, che in occasione dell’incoronazione di Papa Celestino V nella basilica di Collemaggio nel 1294, notò che la città era ancora poco edificata e ciò dovuto all’indecisione di alcune popolazioni e dei Signori delle Terre del contado a entrare a far parte dell’Aquila. È il caso di Barile che nonostante la parziale distruzione del Castello, avvenuta nel 1272 per ordine del re Carlo I d’Angiò, e ad opera di

Taddeo suo  Signore, non si trasferirono a L’Aquila preferendo rifugiarsi nelle nuove ville di Tussillo, Casentino, Fontavignone, Villa S. Angelo (6). Come Barili anche gli abitanti di Ocre, Fontecchio, Scoppito, Preturo, e Civita Tomassa non occuparono mai gli spazi loro assegnati all’interno delle mura della città (7).

 

 

NOTE

1 - C. Franchi, 1752, p.70  

2 - C. Franchi, 1752, p.71

3 - G. Barbato e A. Del Bufalo, 1978, p.23

4 - A. De Matteis, 1973, pp.11-28

5 - C. Franchi, 1752, p.106

6 - A. L. Antinori, ms,1717, vol. XXVII

7 - A. Clementi e E. Piroddi, 1986, pp.3-23

 

La Signoria di Barile tra il XIV e il XVI secolo

Estinzione della famiglia Barile

 

Nel 1294 il castello di Barile era ancora all’impiedi come ravvisasi dal Diploma di re Carlo II_ d’Angiò (1). Detto Diploma, datato 28 Settembre 1294, fu redatto a scopo fiscale, infatti il Sovrano oltre ad elencare le Terre appartenenti al distretto aquilano, stabiliva che da allora e per l’avvenire non si dovesse più tassare i singoli Castelli formanti l’università aquilana bensì solo L’Aquila che a sua volta tassava il contado. Le Terre menzionate dal suddetto Diploma sono in tutto 70 tra cui Ocre Fossa, S.Eusanius, Bariles cum villiss (Barile con le Ville), Stiffia (Stiffe) e la Terra Sinitiensis che riuniva S.Demetrio, Sinizzo, Leporanica e Prata (2). Certamente fino al 1420 il castello di Barile ha goduto una certa indipendenza da L’Aquila, ciò dovuto alla notevole potenza dei suoi Signori. Infatti questa famiglia diede i natali a Giovanni Barile che fu consigliere e Presidente della Camera di re Roberto d’Angio che regnò dal 1309 al 1343, Odolina, sua sorella, che fu matrigna di Bonifacio IX, e Predicasso conte di Monte Odorisio, consigliere familiare del re Ladislao di Durazzo, che governò da 1400 al 1414 e Gran Ciambellano del Regno. A questa discendenza appartiene anche Filippo vescovo di Capua e Pietro detto Camisa che fu nel 1400 Capitano di Napoli. Una prova dell’autorità di cui questa famiglia godeva è data da un documento che fu del 1420 che riferisce di un’udienza concessa dalla regina Giovanna II all’araldo dei Barile riguardo il possesso delle montagne a delle selve che ricadevano nel territorio della Signoria (3). Questa autonomia però non durò ancora per molto in quanto la famiglia Barile, con Predicasso che si trasferì a Napoli, perse ogni rappresentante in Abruzzo essendo estinto il ramo di Bartolomeo Barile, Capitano delle Genti d’Abruzzo e Vicerè di Carlo I d’Angiò nel 1269, con Errico suo pronipote sposato con Rosa dell’Aquila nel 1400 circa (4). E cosi nel 1481 il castello di Barile si ridusse all’obbedienza dell’Aquila (5). Nella numerazione dei fuochi della città e del suo contado avvenuta nel 1508, Barile non è presente come castello ma appare sotto il toponimo “Barile alis lu Tisallo” (Tussillo), ciò a dimostrare che il castello è abbandonato e la popolazione andata ad abitare nelle ville adiacenti. Sorse in quegli anni una controversia tra gli abitanti di Tussillo, Casentino, Fontavignone e S.Eusanio riguardo l’uso del territorio della estinta Signoria dei Barile. La questione fu risolta il 1° giugno 1513 a L’Aquila, nel giardino del Palazzo del Conte di Montorio davanti a Don Paolo Caracciolo di Napoli Capitano dell’Aquila e l’eccellentissimo conte Ludovico Franco e fu deciso che per pascolare i propri armenti le Università di Tussillo e Fontavignone dovessero pagare un terzo delle rendite annue degli erbaggi a quelle di Casentino e S.Eusanio, mentre il titolo e la proprietà del Castello diruto spettasse agli uomini di Tussillo e Fontavignone (6). Il territorio di Barile con le sue ville rimane legato a L’Aquila fino al 1529, anno in cui Filiberto D’Orange Vicerè entrò con il suo esercito nella città, la privò del suo contado e impose forti tasse. Le cause di questo così grave provvedimento rientrano in un più ampio contesto del quale riporto i punti salienti.

 

NOTE 

1 - E. Mariani, ms, 1850

2 - A. De Matteis, 1973, pp.11-28

3 - A. L. Antinori, ms, 1717, vol. XXVIII

4 - O. Beltrano, 1671, pp.241-253

5 - A. L. Antinori, ms, 1717, vol. XXVIII

6 - A. L. Antinori, ms, 1717, vol. XXVIII

 

Lo sviluppo economico dell’Aquila e l’infeudamento del contado

Durante i secoli XIV e XV L’Aquila godeva di una notevole posizione economica, dovuta al commercio della lana e dello zafferano, e politica; infatti, nonostante le continue lotte tra le famiglie più potenti come i Camponeschi e i Pretatti, miranti ad istaurare una Signoria, L’Aquila riuscì progressivamente ad accrescere i propri privilegi nei riguardi del potere Regio e a consolidare la propria autonomia. In questo periodo L’Aquila era, dopo Napoli, la seconda città del Regno e aveva relazioni commerciali con Firenze, Genova, Venezia e città della Francia, delle Fiandre e della Germania. Parallelamente a questo progresso si andò delineando sempre più il distacco tra la città e il suo contado su cui pesava una oppressione di tipo feudale caratterizzata da un gravoso sistema fiscale. Per eliminare il pericolo di scissione che questi centri minacciavano, Antonio Cicinelli, uno dei maggiori politici napoletani, nel 1476 operò una riforma della Costituzione Civica cittadina, con la quale si chiamava l’Università del contado al governo della città, senza però ottenere grandi risultati. Nel 1527, durante le lotte per la conquista del Regno di Napoli tra il re Francesco I di Francia e l’imperatore Carlo V, a L’Aquila, stremata da una violenta peste, giungono le truppe francesi del Capitano Lautrec alle quali la citta dovette capitolare subendo saccheggio. L’anno successivo L’Aquila è di nuovo in possesso degli spagnoli presidiata da una guarnigione mercenaria comandata da Sciarra Colonna. Ma il 31 Dicembre del 1528 scoppia nel contado, ridotto alla fame dalla crisi economica determinata dalla guerra, una furiosa rivolta che decimò le truppe spagnole costringendole alla fuga. Il giorno successivo le masse ribelli entrarono in città e innalzarono vessilli francesi. Giunse rapida la repressione ad opera del Vicerè di Napoli Filiberto d’Orange che marciò sulla città e la costrinse alla resa. A durissimo prezzo gli aquilani si salvano dal saccheggio: fu imposta una taglia di 100.000 ducati e una tassa annua per la costruzione di un forte alla parte più alta della città. Per reperire la somma gli aquilani furono costretti a spogliare le chiese delle suppellettili sacre e degli ornamenti in argento comprese le urne che racchiudevano i corpi di S.Bernardino e di S.Pietro Celestino. Ma il provvedimento più grave fu la separazione imposta della città dal suo contado, avvenuta nel 1529 a perfezionata dal nuovo Vicerè Don Pedro di Toledo, dato in feudo ai Capitani dell’esercito spagnolo, sia per compensarli del servizio militare prestato e sia per creare una cintura di sicurezza in un territorio strategicamente importante ma infido dal punto di vista politico e sociale. Sul finire del secolo XVI restarono ben poche tracce dell’assetto che gli spagnoli avevano tentato di dare alla zona. Per motivi diversi, gran parte dei feudi assegnati ai capitani spagnoli finirono col ritornate alla Corona che, stretta da difficoltà economiche, li rivendette. I beneficiari della graduale scomparsa degli assegnatari spagnoli furono da un lato gli esponenti dell’antico patriziato aquilano come i Branconio, gli Alfieri, i Rivera, i Pica ecc., e dall’altro i grandi feudatari romani come i Colonna di Gallicano nella persona del Cardinale Pompeo e di suo nipote Muzio duca di Zagarolo che si ritagliarono un grosso dominio lungo la valle dell’Aterno. Nel 1646 il Cardinale Pompeo Colonna fu arrestato e rinchiuso nel carcere di S.Elmo dagli spagnoli con l’accusa di esercitare sulla citta dell’ Aquila un dominio assoluto e di non tenere in alcun conto i governatori e i regi ministri. Cosi una volta tornato alla Corona il feudo dei Colonna fu venduto a Maffeo Barberini, principe di Palestrina, per 98.000 ducati. Anche in questa occasione come per le altre speculazioni fondiarie legate alla politica nepotistica, l’operazione fu condotta dall’interessato fiancheggiato dagli ecclesiastici legati alla famiglia: l’intera somma fu pagata in contanti dai Cardinali Francesco e Carlo Barberini. Con quest’ultimo affare il feudo dei Barberini si estendeva su tutta la regione del Cicolano con i pascoli di Rascino, l’alta valle del Salto col ripartimento di Tornimparte, Lucoli e le ville, compreso il ripartimento di Rocca di Mezzo con tutto il versante occidentale della catena del Velino Sirente. Con il ripartimento di S.Eusanio il dominio dei Barberini finiva quasi col circondare a Sud la citta dell’Aquila e, con il feudo di Castel di Ieri, giungeva ad affacciarsi nella valle Peligna. Ma vediamo in dettaglio le sorti dei paesi che facevano parte della Signoria di Barile. 

Barile

I ruderi del Castello e della chiesa di S.Pietro di Barile diventarono beneficio della famiglia aquilana Gaglioffi. Questo diritto passò ad Ercole ed Ubaldino dei Conti marsicani d’Orvieto come figli, ed eredi di Eleonora Gaglioffi il 10 Maggio 1545 e quindi a Carlo Carli, anche questa nobile famiglia aquilana, come erede il 29 Maggio 1599 (1). Appartenne fino al 1658 a Pompeo Colonna quindi dalla Real Corte a Maffeo Barberini nel 1664; nel 1710 da Urbano a Francesco Barberini (2).

Tussillo

Fu ceduto nel 1529 al commendatore Rodrigo Penyalosa (3) poi passo ai Colonna a quindi ai Barberini

Villa S.Angelo

Per 100 scudi fu venduta al capitano Martin Montanyes (4). Distrutta nel 1533 dal principe Filiberto d’Orange (5), fu feudo di Pompeo Colonna fino al 1658 quindi passò ai Barberini.

Casentino

Nel 1529 fu ceduto al capitano Martin Montanyes quindi passò ai Colonna a poi ai Barberini.

S.Eusanio

Nel 1529 Don Pedro di Toledo lo concesse al capitano Martin Montanyes che il 3 Aprile del 1604 lo vendette a Muzio Colonna (6). Nel 1663 passò poi ai Barberini che lo detennero fino al 1789 quando fu intestato alla congregazione di S.Filippo Neri di Roma. Nel 1794 il feudo fu dichiarato Patronato Reale (7).

Fontavignone

Fu ceduto al capitano Diego Perez insieme all’abitato di Fossa (8). Nel 1604 appartenne a Muzio Colonna e dal 1664 alla famiglia Barberini.

 

N O T E

1 - E.Mariani, ms , 1850

2 - C.Blasetti, 1984 , pp.56-70

3 - N.Cortese, 1931 , pp.70-90

4 - N.Cortese, 1931, pp.70-90

5 - C.Blasetti, 1984, p.69

6 - C.Blasetti, 1984, p.67

7 ‑ C.Blasetti, 1984, p.68

8 ‑ N.Cortese, 1931, pp.70-90

 

L’abolizione della feudalità e la nascita dei Comuni

I Barberini abbandonano questo territorio alla fine del 1700 con l’occupazione del Meridione da parte delle truppe francesi avvenimento questo che determinò, tra l’altro, la radicale trasformazione della struttura politica e amministrativa del Sud. Il 2 Agosto del 1806 sotto il regno di Giuseppe Bonaparte viene abolita la feudalità e approvata la legge sull’amministrazione civile con cui vengono create le Intendenze e i Circondari. Villa S.Angelo, Tussillo, S.Eusanio e Casentino insieme a Fossa, Stiffe, Campana, Fagnano, Prata d’Ansidonia, S.Nicandro, Bominaco e Caporciano entrano a far parte del Circondario di S.Demetrio. Il 15 Maggio 1814 ritorna sul trono di Napoli Ferdinando IV Borbone ma la legislazione viene mantenuta sancendo cosi la fine delle  tradizionali Università e l’avvento dei Comuni. Villa S.Angelo, Tussillo, S.Eusanio, Casentino e Stiffe vengono aggregati al comune di S.Demetrio mentre Fontavignone a quello di Rocca di Mezzo a cui rimane legato fino ai nostri giorni. Nel 1860 votato il plebiscito per l’annessione al Regno d’Italia vengono istituiti gli attuali comuni di Villa S.Angelo con la frazione Tussillo e di S.Eusanio Forconese con la frazione Casentino aggregati, per la seconda volta, dal 1927 al 1954 al comune di S.Demetrio (1).  

 

 

N 0 T E

1 - A. Piacentini, 1987

 

 

Chiesa di S. Agata  - XIV sec - Tussillo -

La chiesa, restaurata nel 1982 dalla Soprintendenza ai monumenti, è a tre navate e a tre campate divise da tre pilastri quadrati e archi a tutto sesto. L’asse della tribuna è inclinato verso destra rispetto a quello dell’aula contrariamente a quanto asserisce una teoria secondo la quale ciò denoterebbe l’inclinazione del capo del Cristo sulla Croce (1). La navata centrale termina con un abside a pianta quadrangolare con ai lati due vani che fungono da sacrestia, mentre quelle laterali con due altari. La facciata, a spiovente, è il risultato di interventi probabilmente del sei-settecento come si deduce dal portale concluso da due volute raccordate da una conchiglia, dalle due colonne di rinforzo (post-terremoto 1703?), le tre finestre rettangolari e le due circolari. Al centro del fronte posteriore c’e la robusta torre campanaria ripartita orizzontalmente da una cornice torica. Sull’architrave della porta laterale sono scolpiti due barili. L’interno è frutto di sovrapposizioni di epoche diverse. Il primo altare della navata di destra, ai lati del quale sono rappresentati lo stemma di Tussillo, copre parzialmente un affresco del ‘400; il successivo taglia addirittura quasi la metà di un’altro affresco della stessa epoca. La navata termina con un altare in pietra di fattura cinquecentesca. Alla navata di sinistra , affianco alla fonte battesimale, due affreschi del ‘400: uno parzialmente coperto dal pilastro di rinforzo e l’altro raffigurante la Madonna di Loreto con accanto due martiri francescani perfettamente speculari (l’artista deve aver usato lo stesso cartone). Sugli altri altari affreschi del XV secolo. La navata si conclude con un altare in pietra del ‘600 con affianco una nicchia che conserva la statua in terracotta di S. Agata. L’altare maggiore ha ai lati le statue in pietra dei SS. Pietro a Paolo. La navata centrale ha un controsoffitto piano in legno, quelle laterali hanno,in corrispondenza del presbiterio, la volta a crociera ribassata mentre il resto ha una copertura il legno inclinata.

Chiesa di Sant'Agata    Chiesa di Sant'Agata    Chiesa di Sant'Agata    Chiesa di Sant'Agata, Foto Alessandro Sperandio

1 - O. Antonini, 1988, p.34

“Per cui la convinzione tradizionale, che ritiene questo spostamento (verso sinistra n.d.r.) dell’asse absidale quale intenzione di rappresentare l’inclinazione del capo del Cristo quando mori sulla Croce, è una lettura alla quale, dopo le considerazioni fatte sul simbolismo, si attribuirà ogni valore ed autenticita”. Questa singolarità strutturale si ritrova anche nelle chiese aquilane di S.Pietro di Coppito e di S.Giusta di Bazzano.

 

Chiesa di S. Michele Arcangelo - XIV sec - Villa Sant'Angelo  -

Probabilmente è la chiesa S. Angelo di Bisegna menzionata in alcuni documenti riportati dall’Antinori (Corografia vol. 48). Il più antico è una lettera del 1223 di papa Onorio IV all’abate di Bominaco in cui cita la chiesa di S. Angelo di Seniano (Villa S. Angelo?). Sorta in aperta campagna risalta il tentativo di inglobarla nel tessuto urbano con una sorta di recinto (XVIII sec.?) con porte d’accesso laterali di cui soltanto una superstite. È un edificio a tre navate e quattro campate con archi a tutto sesto impostati su pilastri quadrangolari. La navata centrale si conclude con un abside circolare che comunica con locali adibiti a sacrestia, quella di destra con l’altare seicentesco con la statua dell’Arcangelo Michele mentre quello di sinistra è tamponata. Il prospetto che si affaccia sulla piazza è un rimaneggiamento del ’700 a coronamento orizzontale sovrastato da un campanile a vela su cui è murato lo stemma di Villa S. Angelo. La finestra sul portale ha volute laterali e frontone interrotto al centro da una conchiglia. Sul fronte posteriore si individuano almeno tre interventi aggiuntivi strutturali. Una croce greca si conserva murata nella parte esterna dell’abside. L’interno è sofferente di “restauri” mediocri e non risolutivi. A destra, sull’altare donato da Lorenzo de’ Tomeo consacrato nei 1620 dal vescovo aquilano Gondisalvo, come riporta la scrittura a destra di esso, un dipinto del XV secolo è in pessime condizioni. Gli affreschi e le tele hanno bisogno di interventi di restauro. Il fondo della navata sinistra è decorato da un’ancona in legno policromo. La copertura in legno, consolidata nel 1982 ad opera di volenterosi, della navata centrale è sorretta da capriate (copertura alla lombarda) mentre quella delle laterali è spingente. Prima del definitivo abbandono, la chiesa, aperta solo in particolari occasioni, è stata sotto la tutela della famiglia De Matteis di Villa S. Angelo.

chiesa di San Michele    Chiesa di San Michele

Chiesa Parrocchiale XVIII sec - Villa Sant'Angelo  -

Situata alla piazza del paese, la chiesa è una monoaula absidata spartita da pilastri addossati alle pareti, che dividono gli altari laterali datati dal 1755 al 1779. La facciata (XVIII sec.) con frontone triangolare, è ripartita in tre spazi da cornicioni orizzontali. A destra del portale sormontato da un frontone curvilineo, c’è una lunetta che custodisce un dipinto. Una finestra rettangolare è in asse con il portale. Il prospetto laterale, che si impone con una possente torre campanaria, è compromesso da interventi aggiuntivi (sacrestia). L’interno è un esempio di barocco abruzzese con stucchi dorati e forme plastiche, vedi gli altari). Gli altari laterali (quelli di sinistra sono simmetrici per forma e contrapposti per colore a quelli di destra) hanno frontoni curvilinei spezzati e custodiscono statue in terracotta a tele del ‘700. Il soffitto dell’aula è piano. Il presbiterio ha una volta a botte, interrotta da lunette in corrispondenza delle aperture, che imposta su una cornice che percorre tutto il perimetro interno della chiesa. L’abside è coperto da una semicalotta con finestra centrale.

Chiesa di Villa Sant'Angelo    Bassorilievo sul portale della chiesa della Madonna della Libera raffigurante San Michele Arcangelo. Foto di Pasquale Liberatore.    Chiesa parrocchiale, foto Alessandro Sperandio   

 

Chiesa della Madonna delle Grazie  XVIII sec - Villa Sant'Angelo  -

Sorge in aperta campagna vicino al cimitero di Villa Sant'Angelo lungo la strada che collega il paese a Tussillo. La facciata è a coronamento orizzontale con portale affiancato da due finestre quadrate e sormontato da un frontone triangolare. Sul fronte posteriore sorge il campanile a vela.

Chiesa Madonna delle prate, Foto Alessandro Sperandio    Chiesa Madonna delle prate, Foto Alessandro Sperandio    altare